Suzzan Blac sull’arte, il trauma e lo sfruttamento infantile

Traduzione dall’inglese di Chiara C. e Giulia C.

Suzzan Blac ha iniziato a dipingere come forma di terapia per esprimere le sue emozioni più profonde ed elaborare il trauma che non riusciva a comunicare a parole. Rae Story parla con lei del suo lavoro, dell’industria del sesso e della normalizzazione dello sfruttamento sessuale in età infantile.

Testo originale di Rae Story pubblicato su Feminist Current

Suzzan Blac è una pittrice surrealista di Birmingham, Inghilterra. I suoi dipinti raccontano la sua esperienza di vittima di stupro da bambina, costretta alla prostituzione e alla pornografia da adolescente. Rae Story ha parlato con lei su che cosa significhi dipingere il trauma, sulla cultura della pedofilia e sulla lobby dei papponi.

Blue Hair Detail

R.S.: Il tuo lavoro sembra fondere uno stile gotico e horror con l’estetica surrealista, a questo riguardo ti rifai ad influenze specifiche? Come hai sviluppato il tuo stile unico?

S.B.: Nella mia tarda adolescenza ho sviluppato un interesse per Francis Bacon e Salvador Dalì vedendo i loro lavori nelle gallerie di Birmingham. Prima di allora non ero stata esposta a nessun tipo di arte, musica o letteratura durante la mia crescita, ma disegnare era qualcosa in cui ero brava e che mi piaceva. In quegli anni gli insegnanti mi criticavano per i miei disegni “dark” e cercavano di convincermi a disegnare cose “carine”. Io seguivo i loro consigli perché era l’unico modo per ottenere la loro approvazione.
Dopo le superiori volevo andare all’istituto d’arte, ma quando l’ho detto all’ufficio di avviamento al mondo del lavoro della mia scuola l’impiegato mi ha riso in faccia e mi ha detto di scendere dalle nuvole. Quando l’ho detto a mia madre mi ha detto “Chi ti credi di essere? Vai a fare le pulizie come me”. Quindi non ho proseguito gli studi e sono andata via di casa appena ho compiuto 16 anni.
Prima di decidere di dipingere la mia storia di abusi non avevo mai usato i colori ad olio.
Ho iniziato a dipingere come forma di terapia, e anche se seguivo una terapia convenzionale c’erano cose che non riuscivo a dire al mio terapeuta. Non avevo le parole. Ma dipingendo puoi esprimere emozioni intense tramite forma, consistenza e colore. I dipinti che creavo erano solo per il mio sguardo. Sentivo di non poterli esporre perché erano troppo viscerali, agghiaccianti e disturbanti. Sapevo che mi avrebbero bollata.
Però volevo che le immagini fossero realistiche . Non avevo “prove” degli abusi che avevo subito nel passato, come foto o video, quindi volevo raggiungere il realismo della carne e del sangue, delle emozioni e delle espressioni. Sapevo anche che non poteva esserci alcun processo razionale che mi aiutasse a portare quello che volevo sulla tela perché ogni pensiero cosciente avrebbe sviato le mie emozioni vere e più profonde. Quindi scarabocchiavo in maniera inconscia, senza pensare a cosa stavo facendo. Poi, una volta passata alla pittura, trasferivo le immagini più crude e appropriate sulla tela. In tutti i sensi, le immagini venivano dal mio stomaco, non dalla mia mente.

R.S.: Generalmente si pensa che le persone abbiano una tendenza difensiva a reprimere i propri sentimenti sulle cose brutte che hanno sperimentato, o che provino a rendere quei ricordi benigni e ordinari. D’altro canto il tuo lavoro è molto rivelatore, non minimizza o ammorbidisce l’orrore delle esperienze che hai vissuto. Hai avuto paura di relazionarti in maniera troppo vivida e ricca a quei ricordi? Di “liberarli”?

S.B.: Sì. Ho scoperto solo di recente di soffrire di sindrome da stress post traumatico e non ho preso coscienza di essere stata abusata fino a quando non ho avuto mia figlia, a 28 anni! Avevo soppresso e interiorizzato tutto il trauma, e comunque non avrei seguito nessuna terapia perché non volevo rivivere quei ricordi. Il dolore sarebbe stato troppo forte. E’ più facile minimizzare, evitare e sopprimere. Ho cercato aiuto solo perché ho iniziato ad avere dei flashback e non volevo che avessero delle conseguenze su mia figlia.
All’epoca non avevo paura, avevo solo un forte bisogno di dipingere la mia storia perché la pazzia era diventata troppa e dovevo tirarla fuori dalla mia testa. Ero anche molto arrabbiata e sapevo che dovevo canalizzare quella rabbia. Ma non mi sono mai agitata dipingendo – dovevo rimanere  distaccata per concentrarmi sulla tecnica e non fare  errori. E’ stato solo anni dopo, quando ho esposto i miei quadri, che ho ceduto e ho affrontato l’enormità del mio passato – l’abuso. Quindi sì, è stato estremamente catartico per me e mi sono sempre ritenuta fortunata di avere questa capacità di esprimere le mie emozioni attraverso la pittura.

R.S.: La tua collezioni sottolineano la violenza sessuale commerciale, in particolare quella contro i bambini. Una delle tue collezioni più recenti, “A basement of dolls” è straordinaria in questo senso, ma non di facile fruizione. Si parla dell’esistenza di una cultura della pedofilia endemica (pornografia “teen”, depilazione totale ecc), andando oltre i più superficiali ammonimenti contro la sessualizzazione infantile. Che ne pensi?

Blondes

S.B.: C’è un tale clima dominante di sessismo, apatia, ignoranza e accettazione che circonda lo sfruttamento  e il condizionamento sessuale commerciale delle donne e delle ragazze. Molti non sono interessati a fare ricerche in merito, ma un’immagine è istantanea e può fissarsi nella mente, quindi credo che sia molto più efficace nel trasmettere un messaggio delle parole.
Sappiamo tutti che uno dei generi di pornografia più popolari è il “teen”, questo che cosa ci dice? Se i pornografi legali potessero usare i bambini, lo farebbero. Come i papponi che costringono e sfruttano giovani teenagers nella prostituzione e chiedono un prezzo più alto ai tanti clienti che vogliono ragazze giovani. Ma non possono farlo nella pornografia perché è illegale, quindi fanno l’unica cosa che possono fare rimanendo nella legalità: il porno “barelylegal” con 18enni – che dimostrano meno anni, con poco seno, senza peli pubici e con i capelli racconti in code di cavallo. Il pornografo Max Hardcore usa 18enni che fa apparire più giovani con code di cavallo, apparecchi per i denti e vestiti comprati in negozi per bambini. Poi le degrada, umilia e violenta nei suoi video.
Il Giappone ha reso illegale le immagini che rappresentano abusi sui minori solo nel 2014, e questi video sono ancora disponibili nelle videoteche. Le ragazzine sono sfruttate in bar e club, e prostituite apertamente in molte zone. Ci sono macchinette automatiche che vendono mutandine indossate da bambine e sex dolls con corpi di bambine , per non parlare del lolicon, dello shotacon, dei manga e degli anime – alcuni altamente pornografici, con rappresentazioni di bambini usati sessualmente da maschi adulti. Non c’è nulla di fondamentalmente diverso nei giapponesi, nella loro cultura di accettazione, quindi se la pedofilia fosse accettata altrove come lo è in Giappone, una volta legalizzata possiamo immaginare come sarebbe imperante anche negli altri paesi.

Our Special Secret

R.S.: Certo. Riformiste sociali come Josephine Butler hanno cercato di porre fine alla prostituzione infantile nel diciannovesimo secolo, ma sono state attaccate dai papponi e anche da alcune persone nella prostituzione per le quali i tentativi di alzare l’età legale nella prostituzione dai 12 ai 16anni avrebbero delegittimato il “mercato” , lanciando il messaggio che la prostituzione non era un lavoro come qualsiasi altro (al tempo l’età minima di ammissione al lavoro era fissata ai 12 anni). Persone come Butler sono spesso state considerate dai neoliberali reazionari come puritane, il che è molto significativo.
Credo che ci sia molta noncuranza sull’argomento dello sfruttamento infantile nel mercato del sesso,  e il tuo lavoro affronta questo tema – molte persone hanno un rapporto dissonante con l’abuso infantile e la prostituzione. Incluse le persone a favore dell’industria del sesso che svicolano dal discutere i dettagli e i materiali specifici dell’industria e si limitano a urlare slogan come “ascoltate le sex workers”. E’ una tattica di occultamento per mettere a tacere il dissenso.
A questo proposito, qual è il tuo punto di vista sulla situazione politica che circonda il mercato del sesso e cosa credi che debba essere fatto per prevenire lo sfruttamento di altre donne e bambine o per aiutare chi è già vittima? Cosa pensi di quelle donne che dicono di amare la prostituzione e che lo vedono come un “lavoro come un altro”?

S.B.:  Certo. Molti dei primi magazine pornografici commerciali sessualizzavano i bambini e promuovevano pedofilia e incesto, spesso con personaggi dei fumetti come “Chester il molestatore”, che per molti anni è stato presente sulla rivista Hustler. Quindi sì, i pornografi, che non sono altro che papponi, non avrebbero remore nell’usare i bambini se fosse legale.
Sulle persone a favore della prostituzione , spesso sono papponi , pedofili, pornografi, venditori o consumatori di porno, uomini che comprano le donne o neoliberali. Molti hanno posizioni di potere e influenza nei media, come la Free Speech Coalition negli Stati Uniti e Sex and Censorship nel Regno Unito. Spesso sono persone con interessi economici nell’industria del sesso e le loro parole risuonano nelle menti dei giovani che crescono in un clima di pornografia e oggettificazione sessuale delle donne e delle bambine nei media. Quindi sono condizionati a voler credere ai miti della prostituzione e alle bugie dei pornografi.
Ovviamente io sono a favore del modello nordico riguardo alle donne prostituite. Ma dobbiamo andare oltre, non limitarci a criminalizzare i compratori di sesso ma smascherare loro e le loro scelte. Come ogni altra forma di violenza contro le donne  – violenza domestica o stupro, per esempio – la società e i media si soffermano sulle vittime invece che sui colpevoli. Invece di “lui l’ha picchiata” è “lei è una donna picchiata”, “donna è stata stuprata” invece che “un uomo ha stuprato una donna”. Questo è in tutto e per tutto rivittimizzazione e sposta l’attenzione sulle ragioni per cui la vittima si è cacciata in questa situazione invece che sul colpevole e sul perché lo ha fatto.
L’unico modo per mettere fine a tutto questo è educare i nostri bambini sul sessismo, le relazioni, il consenso, l’abuso e lo sfruttamento sessuale e i danni della pornografia. Abbiamo bisogno di organizzazioni esterne per educare la prossima generazione a pensare in maniera critica sul motivo per cui così tante bambine e donne vengono oggettificate, sfruttate sessualmente e aggredite perché l’unica cosa che sentiamo sono le statistiche sulla violenza contro le donne e le bambine.
Attraverso la pornografia, le menti dei bambini sono deformate e condizionate a credere che le donne siano felici di essere vittime di violenza sessuale. Se la pornografia è violenza sessuale erotizzata, come può la mente malleabile di un bambino capire la differenza tra fantasia e realtà, miti e bugie? Il modo in cui i pornografi normalizzano atti sessuali violenti e insegnano ai ragazzi che si sentono autorizzati a replicare questi atti nella vita reale altera e istiga il comportamento dei bambini, e dall’avvento della pornografia online possiamo riscontrare un numero maggiore di aggressioni sessuali da parte di bambini contro altri bambini, di video di stupri e stupri di gruppo. Direi che la maggioranza delle donne che dicono di amare la prostituzione (o ogni altra parte dell’industria del sesso) sono spesso il prodotto di famiglie disfunzionali dove violenza e abuso sessuale sono comuni, o sono state vittime di stupri e abusi. Queste vittime hanno un disturbo da stress post traumatico complesso, che è un modello di comportamento in cui la vittima continua ad abusare se stessa per evitare sintomi spiacevoli che sono più dolorosi dell’abuso stesso. Questo meccanismo di difesa spesso si manifesta con comportamenti sessuali ad alto rischio, disprezzo di sé, autolesionismo e rimessa in atto dell’abuso (noto come ‘trauma bonding’, rimessa in atto del trauma) . Inoltre, dentro le menti di alcune di queste giovani donne ci sono alti livelli di rabbia e aggressività che si manifestano in una forma di resistenza mentale. Il loro comportamento non ci dice chi sono in realtà – si tratta di un meccanismo di sopravvivenza. Di solito queste giovani donne sono dipendenti da alcool o droga, disposte a tutto per finanziare la loro dipendenza. E’ un circolo vizioso.
Credo che questi fatti vadano capiti, riconosciuti e affrontati da tutti i governi e le organizzazioni che si occupano della salute pubblica. Dovrebbero anche essere affrontati nell’addestramento delle forze di polizia, degli operatori nel settore medico, degli assistenti sociali e dei lavoratori nel settore giudiziario. Queste informazioni dovrebbero essere trasmesse anche ai media e al pubblico per combattere la rivittimizzazione, che è un importante fattore alla base dei fenomeni dell’abuso sessuale, dello stupro, dello sfruttamento e della violenza contro le donne e le bambine.

Condividi

Potrebbero interessarti anche...