Pornografia: Fare le peggiori cose alle donne, tirare fuori il peggio degli uomini

Di Robert Jensen

Opera di Vesna Pavan (https://www.vesnapavan.com/)

La mia tesi: L’industria della pornografia arreca danno alle donne, ma anche agli uomini perché tira fuori il loro lato peggiore. Lasciate che vi spieghi il perché.

Sono un professore in pensione dell’Università del Texas e ho iniziato a studiare l’industria della pornografia dal 1988. Ho scritto una tesi di dottorato, vari articoli scientifici e tre libri riguardanti questo tema. Le conclusioni cui sono arrivato con il mio lavoro accademico sui danni della pornografia mi hanno portato a contribuire al movimento femminista anti-pornografia, concentrandomi sull’organizzazione di eventi di educazione pubblica e scrivendo per un pubblico generico. Entrambe le attività, quella accademica e quella da attivista, sono intrinsecamente collegate. Ogni anno vengono pubblicate sempre più ricerche accademiche in psicologia e sociologia che convalidano le intuizioni di quell’analisi femminista radicale, ed è proprio questo fatto a rendere così importante l’attivismo.

Oggi voglio spiegare perché si dovrebbe dare centralità alla critica femminista, nel contesto più ampio dell’analisi riguadante lo sfruttamento sessuale e la violenza maschile, al fine di poter comprendere il danno causato dalla pornografia. Sottolineo questo per tre motivi.

Innanzitutto, ci sono femministe che difendono, e persino celebrano, l’industria della pornografia. Anziché combattere lo sfruttamento sessuale delle donne che è il cuore pulsante di tale indusria, queste “femministe” sostengono di difendere le cosiddette “lavoratrici del sesso” o la loro “libertà sessuale”. L’industria del porno però non tratta le donne che vi sono coinvolte come delle lavoratrici normali. Infatti non viene concessa loro la protezione minima concessa a qualsiasi altro tipo di lavoratore, proprio perché lo sfruttamento è necessario al mantenimento dell’intero sistema e all’intrattenimento fornito al “cliente” come prodotto. Il modello di business di tale industria non promuoverà mai un’espressione che sia coerente con i diritti umani. È cruciale sfidare il femminismo liberale pro-pornografia con la critica che è stata sviluppata dalle donne del movimento femminista anti-pornografia, che include molte sopravvissute alle industrie dello sfruttamento sessuale.

In secondo luogo, è presente un’altra critica alla pornografia proveniente dalle fila dei conservatori e dei religiosi. Sebbene vi siano dei valori condivisi, a differenza della critica da parte dei religiosi, l’analisi delle femministe radicali si inserisce in una più grande sfida e resistenza al sistema patriarcale di dominio maschile istituzionalizzato.

In terzo luogo, è importante che gli uomini supportino una critica alla pornografia di stampo femminista. Un numero crescente di uomini sta rifiutando l’uso della pornografia a causa degli effetti negativi sul loro immaginario sessuale e sulla loro vita sessuale, specialmente quando si ritrovano intrappolati in modelli simili alla dipendenza. Questa autoconsapevolezza è di certo un segnale positivo, ma è comunque solo un primo passo. Gli uomini hanno la responsabilità di unirsi a un movimento femminista che metta il danno inferto alle donne e ai/alle bambini/e al centro di una critica della pornografia.

La frase “Commercial Sexual Exploitation” nel titolo di questa inchiesta è cruciale, perché mantiene l’attenzione sulla realtà delle esperienze delle donne. Il termine “industria del sesso”, comunemente usato dai sostenitori e apologeti della pornografia, oscura la natura dello scambio. La pornografia – insieme alla prostituzione, lo spogliarello, i saloni di massaggio, i servizi di escort – riguarda essenzialmente gli uomini che comprano e vendono corpi femminili oggettivati per il loro egoistico piacere sessuale. Ecco perché utilizzo il termine “industria di sfruttamento sessuale”, per identificare la vera natura di questo modello di business. Le mie colleghe di questo panel – Gail Dines, Clare McGlynn e Laila Mickelwait – potranno elaborare i danni causati da questa industria, e suggerire opzioni politiche che offrono le migliori alternative per sradicare l’industria del porno.

Ho abbracciato tardi l’analisi femminista contro la pornografia. Da giovane avevo opinioni liberali a favore della pornografia e deridevo quella critica femminista che in realtà non comprendevo veramente. Ma quando usavo la pornografia, mi sentivo sempre inquieto. In fondo credo che sapessi che legare il mio piacere sessuale all’uso di corpi femminili oggettivati era in contrasto con il mio migliore Io. Poi ho scoperto la critica femminista, espressa con forza da Andrea Dworkin nel suo rivoluzionario libro “Pornography: Men Possessing Women”. Dworkin e altre femministe non solo sfidarono la mia superficiale politica liberale, ma si fecero portatrici anche del mio disagio con le norme di mascolinità dominanti della cultura, che sono espresse così palesemente nella pornografia: l’ossessione del controllo e l’obiettivo della conquista.

All’epoca, la critica femminista era un’analisi convincente del mondo pornografico pre-internet. Più di quattro decenni dopo, la costante intensificazione del sessismo e del razzismo nella pornografia l’hanno resa ancora più convincente. Ma in quello stesso periodo di tempo, la critica femminista è stata costantemente spinta ai margini dalle istituzioni liberali, specialmente nelle università.

Penso che questo rifiuto, ideologicamente guidato, di un’analisi così convincente sia il risultato della paura e della negazione. La paura è una reazione comprensibile a quanto intensamente crudele e denigrante sia diventata la pornografia. Può essere spaventoso guardare come l’abuso delle donne sia diventato un intrattenimento sessuale di routine. La negazione è il non riconoscere quanto le norme sessiste del patriarcato possano giustificare la brutalità dell’industria dello sfruttamento sessuale e quanto tutto ciò sia radicato nella paura che scaturisce dalla critica di tale sistema. L’analisi femminista infatti rivela la realtà patriarcale sulle nostre vite, dalla politica globale agli spazi più intimi della nostra quotidianità.

Infine, la critica femminista alle industrie di sfruttamento sessuale è, per me e per le femministe con cui ho lavorato, parte di una critica più ampia di tutte le forme di potere che sono utilizzate quotidianamente. Le attiviste che contestano lo sfruttamento sessuale commerciale mettono anche in evidenza gli abusi di potere in tutte le loro forme: razzismo, disuguaglianza economica e sfruttamento globale, militarismo, degrado ecologico. La critica femminista alla pornografia fa parte di una più ampia critica progressista/ecologista delle concentrazioni illegittime di potere.

Per concludere vi lascio una citazione presa dal mio libro “La fine del patriarcato”:

<< Suggerisco di porre una domanda che è fondamentale ogni volta che incontriamo una nuova idea, un progetto politico o una proposta politica: è probabile che questo aiuti le persone a creare e mantenere comunità umane stabili e dignitose e che possano rimanere in una relazione sostenibile con il più ampio mondo vivente? >>

Sulla base di più di tre decenni di ricerca e attivismo, posso affermare senza esitazioni o riserve che la pornografia e le altre industrie di sfruttamento sessuale sono un impedimento a comunità umane stabili e decenti. La pratica degli uomini di comprare e vendere corpi femminili oggettivati per il piacere sessuale è incompatibile con la dignità umana.

I difensori della pornografia tipicamente rispondono con: “Beh, se non ti piace il porno, non guardarlo”. In effetti, molte persone scelgono di non guardarlo, ma nessuno può sfuggire a una cultura sempre più pornografica. Scegliere di non guardare la pornografia non elimina i danni creati da un’industria che fa violenza alle donne, ma danneggia anche agli uomini perché tira fuori il loro lato peggiore.

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