Mia Khalifa: il porno preda le ragazze vulnerabili

di Chiara C.
Tra i vari settori dell’industria del sesso la pornografia è forse quello più normalizzato ed invisibilizzato nel sentire comune. Come è già accaduto con la prostituzione, da tempo le donne hanno preso parola per denunciare la violenza e lo sfruttamento sistematico che domina il mondo del porno, oltre alle conseguenze a lungo termine sulla loro salute psico-fisica.
Il caso di Mia, 26 anni di origine libanese è emblematico. La sua storia, raccontata in diverse interviste, dalla prima rilasciata all’amica Megan Abbott, a quella della BBC oltre ad una serie di articoli usciti sul suo caso, conferma quello che sappiamo a partire dalle nostre esperienze personali di vita: il porno non ha niente a che vedere con la liberazione sessuale, con la scoperta del piacere, è una messa in scena misogina dove si celebra l’umiliazione, la sottomissione e l’annientamento del nostro sesso. I falsi miti che circondano il porno, come per la prostituzione, continuano a perseverare, ma maggiore è il numero delle donne che svelano la verità, più difficile diventerà per produttori-sfruttatori continuare indisturbati il proprio commercio-macello di donne e ragazze sempre più giovani e vulnerabili.
Abbiamo riassunto le due interviste video, quella condotta da Abbott e quella di un giornalista della BBC, integrandole con informazioni fondamentali contenute in altre interviste cartacee. Abbiamo diviso il materiale in temi principali, citando le parole dirette di Mia nei momenti più significativi. Mia è stata nell’industria del porno soltanto per tre mesi, ne è uscita nel 2015 ma continua ad essere perseguitata dal suo passato. Importanti sono le sue rivelazioni sul dietro le quinte dell’industria, sugli affari miliardari delle compagnie e dei siti web che sfruttano all’infinito le ragazze più vulnerabili distruggendo il loro benessere psico-fisico e mettendone a rischio il loro futuro.
LA VITA DOPO IL PORNO: STIGMA E VERGOGNA
In una recente intervista radio condotta in Florida il conduttore ha presentato Mia come una “porno star a cui piace lo sport”. Mia racconta di essere stata immediatamente investita da un “vortice di emozioni, da un enorme senso di vergogna”. “Mi ha chiamata in quel modo con un tono terribile di fronte a tantissime persone come se avessi accettato e fossi orgogliosa del mio passato quando non solo non ne sono orgogliosa, ma sto ancora lavorando sul fatto di accettare quello che mi è successo”. Mia spiega che, come conseguenza dell’accaduto, ha deciso di rilasciare un’intervista dove finalmente avrebbe deciso lei come raccontarsi, in cui non sarebbe stata chiamata “porno star”, ma avrebbe potuto liberarsi del suo passato e in quel modo curare la ferita aperta dell’orrore che ha vissuto.
ADOLESCENZA DA IMMIGRATA: EMARGINAZIONE E RAZZISMO
Mia è emigrata dal Libano, nel 2001 si è trasferita con i genitori nello stato di Washighton. I suoi non conoscevano nessuno, vivevano da isolati, parlavano pochissimo inglese e la costringevano ad una vita da reclusa. Alle scuole medie i ragazzini la chiamano “la terrorista”, Mia si sente diversa ed emarginata. Durante l’università comincia a prendere molto peso, mangia in modo non sano, non si sente più a suo agio con il suo corpo quindi comincia a dimagrire e decide di ricorrere alla chirurgia estetica per modificare il suo seno. Per la prima volta dopo l’intervento “mi sentivo carina. Era un modo non sano di sentirmi carina nel senso che avevo bisogno che mi si dicesse che ero carina, avevo bisogno dell’attenzione degli uomini che non avevo mai avuto durante le scuole superiori e neanche all’università, mi vestivo con vestiti antiquati perché non mi piaceva il mio aspetto, non riuscivo ad indossare cannottiere o t-shirt, mi sembrava che il mio seno avesse un brutto aspetto qualsiasi cosa indossassi. Prima che la mia autostima si formasse non sapevo quale fosse il mio aspetto o il mio valore come persona e quindi lasciavo che fossero gli uomini a dirmi quale fosse il mio valore.”
L’INCONTRO CON IL FAVOREGGIATORE PRODUTTORE PORNO
“Tre settimane dopo l’intervento al seno a Miami” racconta Mia, “un’auto si avvicina, tira giù il finestrino e mi dice ‘Sei bellissima, vuoi fare la modella per me?’ mi dette il suo biglietto da visita e una volta a casa controllai su Google di cosa si trattasse: era una casa di produzione di film porno e mi dissi ‘cazzo!’ poi però ho pensato che mi aveva detto che ero carina e magari potevo andare e vedere di che cosa si trattasse, così due settimane più tardi sono andata per fare delle domande. L’ufficio dove mi hanno ricevuto era molto bello, ho conosciuto le altre persone che lavoravano per lui, erano tutte donne e molto amichevoli, erano tutte molto carine con me, le riprese e il montaggio erano fatte da donne e questo mi ha fatto sentire molto a mio agio. Prima di dare una risposta ci ho pensato due settimane, ma dal momento in cui sono ritornata, tutti hanno ricominciato a dirmi quanto fossi carina, mi trattavano tutti bene non ho percepito il pericolo, non si trattava di un ambiente squallido come la gente pensa, ma di un’azienda multi-milionaria. Mi sono detta ‘sono sicura che la gente lo fa di continuo, sarà il mio piccolo segreto piccante’, avevo molti amici su Facebook e Instagram ma non l’avrebbero saputo, pensavo che sarebbe stato come avere un alter-ego, poteva essere divertente e nessuno avrebbe scoperto niente. La cosa su cui volevo essere attenta era l’aspetto della sicurezza, il problema dei test per le malattie a trasmissione sessuale, ero tranquilla perchè sapevo che non era permesso girare senza essersi sottoposti a tutti i test”.
I BLACKOUT: LA DISSOCIAZIONE
“Nella stanza in cui venivano riprese le scene c’era soltanto la persona che filmava, la scena durava solo 15 minuti, la preparazione invece era molto lunga, anche 4 ore, la sessione del make up e la scelta dell’outfit erano centrali e in quei momenti sentivo che tutta l’attenzione era su di me, mi sentivo importante, tutti mi dicevano che ero bella. Della scena di sesso non ricordo nulla, ogni singola volta era come un blackout, cancellavo tutto e dopo la prima volta volta il mio cervello mi diceva ‘ non è una bella cosa’. Era come avere un vuoto di memoria, dopo che era successo provavo vergogna, ma penso che quello che mi faceva continuare era l’attenzione che ricevevo, avevo paura che l’avrei persa se non avessi fatto quello che mi chiedevano. Sono andata avanti per 3-4 mesi mi sentivo carina ed ammirata, ma il punto di svolta è stato quando mi hanno chiesto di girare una scena indossando il velo. Quella scena è diventata virale a livello globale, ne hanno parlato i telegiornali, la CNN, Foxnews, Newsweek ci ha scritto un lungo pezzo, praticamente ogni giornale ne ha parlato. A causa di quella scena sono stata bannata da paesi come l’Egitto e l’Afghanistan. Quando mi proposero di girare quella scena dissi subito “stronzi volete farmi uccidere!”, sapevo che sarebbe stata controversa, ma non immaginavo che sarebbe finita ovunque. Ho accettato di girala perchè ero intimidita . Il mio account twitter è stato hackerato dall’ISIS e ho ricevuto minacce di morte. Mi hanno inviato una mia foto modificata con photoshop con me decapitata. Dopo una settimana è accaduto qualcosa di ancora più spaventoso, mi è arrivata l’immagine di Google map del mio appartamento, sono stata in hotel per 2 settimane. La CNN contattò i miei genitori che non sapevano nulla del fatto che ero nel porno. Sono rimasta nell’industria per altri 2 mesi, ma poi ho dato le dimissioni”.
DOPO IL PORNO: MOLESTIE SESSUALI, CONSEGUENZE SOCIALI E PSICOLOGICHE
“Una volta lasciata l’industria ero preoccupata per il buco nel mio CV, non sapevo che cosa scrivere. Ho provato a tornare ad una vita normale ma il mio primo lavoro dopo il porno era impossibile, era un ambiente di lavoro piccolo e le persone mi riconoscevano, mi facevano sentire a disagio, mi guardavano male. Sei mesi dopo l’azienda chiuse e mi ritrovai disoccupata di nuovo, decisi di tagliarmi i capelli e farmi bionda, indossare gli occhiali ma le persone per strada continuano a gridarmi dietro e a fischiare, tutti mi riconoscevano, all’improvviso ero famosa, ma adesso provavo solo vergogna, ero entrata nel porno per sentirmi bella e importante, ma adesso mi vergognavo ogni volta che un uomo mi guardava perché sapevo che mi aveva visto nuda ed ero sempre a disagio. Cominciai a vestirmi trasandata e cercavo di uscire il meno possibile. Odiavo essere riconosciuta quando ero da sola perché mi faceva sentire in pericolo, sono successe alcune cose, alcune persone si sono sentite in diritto di toccarmi in pubblico perché pensavano di conoscermi visto che mi avevano seguita in rete, pensavano che fossi in un certo modo perché avevo fatto porno e quindi acconsentissi a veder violata la mia intimità solo perché ero stata nuda davanti ad una telecamera. Ancora oggi odio uscire di casa e probabilmente sarà così per sempre. Odio quando le persone mi guardano anche adesso quando sono in ufficio, preferisco stare a casa con i miei cani. Sono diventata una reclusa”.
Sempre più isolata e alla ricerca disperata di pace, Mia decide di lasciare Miami “un posto tossico” e si trasferisce ad Austen. “Ho cercato di ricostruire la mia vita e cambiare la narrazione su di me, tentare una carriera che rispecchiasse la mia passione ossia lo sport.”
LA TRAPPOLA DELLA RICERCA DI ATTENZIONI MASCHILI: IO SONO MIA
“Dopo un anno ad Austen ho capito che la ricerca di attenzioni, l’ansia di sentirmi apprezzata dagli uomini era qualcosa di provvisorio, non mi ero mai sentiva davvero importante, che valevo qualcosa quando avevo un fidanzato, ho capito che dovevo prendermi del tempo per crescere come persona e dedicarmi alle mie passioni. Ogni volta che ero in una relazione era un rapporto non sano, non nel senso che subivo violenza, ma nel senso che facevo dipendere la mia felicità dal fatto che un uomo mi considerasse importante e bella e mi chiedevo continuamente ‘sarò bella per lui oggi?’ È terribile come una donna giovane pensi questo, ma credo che sia qualcosa che tutte noi donne viviamo. Un punto di svolta nella mia vita è stato iniziare una psicoterapia, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a capire come gestire quello che stavo passando. La prima cosa che ho fatto dopo la prima seduta è stata di cancellare dalla mia vita tutte le persone che sui social mi attaccavano, ho bloccato tutti, è stato un momento in cui ho sentito che potevo riprendere il controllo della mia vita.” “Per due anni sono stata single, non volevo nessun uomo nella mia vita, è stato fantastico. Tutta la mia energia e le mie attenzioni prima erano rivolte a sentirmi considerata da un uomo, ma non ricevevo nulla in cambio, era terribile vivere giorno dopo giorno pensando ‘questo uomo mi ha resa felice oggi?’ ho cominciato a pensare ‘oggi penserò io a rendermi felice’.
I PRODUTTORI E I GESTORI DI SITI PORNO SFRUTTANO LE RAGAZZE VULNERABILI: PORNHUB E BANG BROS
Mia ha spiegato come la gente continui a pensare che lei abbia guadagnato una fortuna con il porno vista la sua popolarità. La realtà però è ben diversa:” Ho guadagnato un totale di 12.000 dollari per una dozzina di film e da allora non ho più visto un penny”. “Le grosse aziende del porno intrappolano le ragazze con dei contratti quando sono vulnerabili, non è un’industria da rispettare, dovrebbe piuttosto essere rasa al suolo.”
Nonostante Mia abbia lasciato il porno nel 2015 risulta essere ancora la numero due nella classifica di Pornhub, il famoso colosso, che contattato dai giornalisti, non ha voluto rivelare quanti soldi continui a guadagnare sulle spalle di Mia. Lei invece non ha mai visto un solo centesimo, nonostante la sua vita sia stata compromessa da una ‘notorietà’ non voluta che ha avuto il solo effetto di distruggere il suo benessere psichico e la sua vita sociale. L’azienda che l’aveva ingaggiata, la Bang Bros, non ha mai rimosso i suoi film. Mia non può fare nulla per farli togliere e anche in questo caso a guadagnare è solo la casa di produzione che si è rifiutata, come Porn Hub, di dire quanti soldi continuano ad entrare dallo sfruttamento di Mia. I contratti che firmano le ragazze che finiscono nella mani di questi papponi milardiari sono flat-rate, a tariffa fissa, un compenso per ogni filmato, che nel caso di Mia si trattava solo di 1000 dollari per film, quando poi la casa di produzione continua ad incassare all’infinito cifre notevoli, ossia fino a quando un’attrice continua ad essere popolare, ricercata, addirittura inventandosi un possibile ‘ritorno’, un vero e proprio fake per moltiplicare la curiosità degli utenti e spingerli a visitare i loro siti.
LA QUESTIONE DEL CONSENSO NELL’INDUSTRIA DEL PORNO
“Ero molto giovane, avevo 21 anni quando sono entrata nella pornografia, non avevo un manager, nessuno era lì con me a darmi consigli, che stavo facendo una scelta sbagliata e che i video sarebbero rimasti online per sempre senza alcuna possibilità da parte mia di farli rimuovere. Il concetto di consenso nell’industria della pornografia non ha alcun senso: esiste uno squilibrio di potere evidente tra gli uomini che controllano l’industria del sesso e una ragazza di 21 anni. C’erano 4 produttori uomini nella stanza che ridevano, era devastante, mi mettevano nella condizione di non riuscire a parlare apertamente, quando firmi un contratto non capisci nulla, questi uomini fanno di tutto per ingannarti. Io ero convinta che nessuno mi avrebbe mai scoperto. Ero sola, senza un avvocato. Quando vi dicono ‘hai la bellezza per un motivo, usala!’ scappate a gambe levate!”
LA DECISIONE DI PRENDERE PAROLA
“Ho deciso di raccontare la verità per proteggere altre ragazze da questa trappola. I produttori mi vedevano solo come una macchina per fare soldi. Le ragazze giovani sono pornificate, inoltre negli USA esiste già la dipendenza da pornografia e gli effetti sulle relazioni sono devastanti, gli uomini si aspettano che le ragazze facciano le cose che vedono nei film porno e fanno pressione sulle loro partner, ma quello che vedono non è la normalità. Ho sofferto di sindrome da stress post-traumatico, specialmente da quando tutto è venuto alla luce, era come se le persone vedessero attraverso i miei vestiti e mi provocava una senso di vergogna fortissimo, come se non avessi più diritto alla mia privacy, bastava una ricerca Google e la mia vita era a loro disposizione. Non avevo alcun potere di decidere su quelle immagini anche se sono così personali, non hai alcun diritto di rimuoverle dalla vista di qualsiasi persona al mondo. È dura veramente. Ho scoperto di recente, dopo che è uscita la mia prima intervista, che molte donne ci sono cascate e hanno firmato contratti di cui non hanno capito le clausole e anche se loro non volevano fare certe cose si sono sentite costrette a farlo. Leggere le parole di queste ragazze, anche vittime di tratta, forzate al porno, tutte le storie delle ragazze le cui vite sono state rovinate e degli uomini che si sono approfittati di loro, mi ha fatto pensare che è stato utile parlare e pubblicare la mia intervista.”
MESSAGGIO PER LE RAGAZZE: NON ENTRATE MAI NEL PORNO, AMATEVI, NON AFFIDATEVI AD UN UOMO PER LA VOSTRA AUTOSTIMA
“Provo ancora vergogna per il mio passato. So di essere intelligente, di avere talento, di avere molto da offrire nonostante il giudizio delle persone. Se potessi tornerei indietro e cambierei tutto. Vorrei diventare counselling, insegnare alle ragazze giovani come gestire i social media, a non farsi influenzare, a non avere un’identità fittizia in rete e ad essere loro stesse. Il mio messaggio è assolutamente di non entrare mai nel porno, so che può sembrare banale, ma dovete amare voi stesse, ci ho messo 24-25 anni per capirlo, ma non dovete contare su un uomo per la vostra felicità e la vostra autostima. Molte ragazze postano foto su Instagram per cercare conferme del proprio valore, altre persone come me arrivano all’estremo di fare porno per lo stesso motivo”.
La società patriarcale inculca nelle bambine la narrazione della loro inferiorità, vulnerabilità e incapacità. Le uniche doti riconosciute e da perseguire sono la bellezza (e la giovinezza) e la disponibilità a servire gli uomini come madri-madonne accudenti e puttane dentro le mura di casa e nel bordello. Ma non siamo né puttane, né madonne, siamo solo donne come denunciavano gli slogan delle femministe a cui ci ispiriamo. La pornografia è una narrazione violenta e conservatrice che ci inchioda ad una realtà retrograda e violenta, quella che distrugge la nostra libertà e autonomia, vende i nostri corpi sul mercato della misoginia. Ma la rivolta femminista continua, sempre più donne nell’industria del sesso stanno rompendo il silenzio, il #Metoo della pornografia è iniziato.