Sesso con 100 uomini in 24 ore: l’abuso degli uomini e l’autolesionismo di una giovane donna

Traduzione dell’articolo di Collective Shout: Sex with 100 men in 24 hours: Opportunistic men and a young woman’s self-harm, di Caitlin Roper
Il comune denominatore è una cultura che normalizza l’oggettificazione delle donne, mentre difende gli uomini che se ne approfittano.
La settimana scorsa è stato pubblicato un documentario su YouTube che racconta l’esperienza della modella inglese di OnlyFans Lily Phillips: la sfida consisteva nel fare sesso con 100 uomini in un solo giorno.
Il documentario, prodotto dal YouTuber Josh Pieters, segue Lily prima e dopo la sfida sessuale. Con un sorriso accennato, cercando di trattenere le lacrime, con gli occhi rossi e doloranti a causa di così tante eiaculazioni, la fragile ventitreenne descrive l’esperienza come “intensa” e lascia la stanza in lacrime.
In risposta al video virale, estratto dal documentario, molti spettatori hanno minimizzato i danni evidenti subiti da Lily, sostenendo che fosse stata lei a scegliere di partecipare. Secondo costoro, se l’attrice ha scelto di essere usata da quegli uomini, allora il danno non conta. Gli uomini che l’hanno usata, invece, sono esentati da ogni responsabilità. Noi riteniamo che le cose non stiano assolutamente così
Cento approfittatori – alcuni arrivati dall’estero per trascorrere da due ai cinque minuti con Lily – tutti in fila per partecipare ad un atto di autolesionismo estremo da parte di una giovane donna vulnerabile.
Dal video emergono segnali evidenti che dimostrano come la ragazza non sapesse che, essere trattata come un oggetto da parte di 100 uomini sconosciuti, fosse una violazione del suo corpo. Lily ha descritto la sua esperienza elencando sintomi di uno stato di dissociazione: il fatto di sentirsi un robot, ricordarsi solo cinque o sei uomini su cento. Che lei abbia “scelto” (un concetto discutibile nella cultura pornografica, come spieghiamo ormai da 15 anni) di partecipare o meno, ha comunque subito le conseguenze di abusi reiterati.
“Amo profondamente il mio lavoro”: Vendere una fantasia
Lily è entrata nell’industria pornografica mentre era ancora all’università. Dice di “adorare” fare porno su OnlyFans e insiste nel dire che si “diverte”, ma ammette anche di aver ricevuto richieste sempre più disturbanti da parte dei suoi abbonati di sesso maschile, come quella di soffocarsi con un sacchetto in testa. Inoltre, ha scoperto che tra i suoi abbonati ci sono vecchi compagni di scuola e amici di suo padre (sua madre è la sua manager).
Lily confessa di sentirsi sola e teme che nessuno vorrà mai sposarla, a meno che non sia anch’egli nel settore o un uomo che voglia “prestarla” ad altri. Fa anche delle battute, dicendo che lei è “buona per una sola cosa”.
Nonostante ciò, Lily ha dichiarato a Pieters di essere entusiasta all’idea di fare sesso con 100 uomini in 24 ore, dicendo che fosse una sua fantasia – “qualcosa che aveva sempre voluto fare” (ma lui non le ha creduto).
Perché una donna dovrebbe affermare di amare essere sfruttata dagli uomini per creare contenuti pornografici, se non fosse realmente così?
Prima di tutto, Lily sta vendendo un prodotto (se stessa) e il mercato (i consumatori di pornografia maschile) richiede la fantasia che le donne con cui entrano in contatto partecipino in modo entusiasta e volontario.
Come ho scritto nel mio libro Sex Dolls, Robots and Woman Hating: The Case for Resistance, per gli uomini che comprano atti sessuali, la simulazione del desiderio da parte delle donne è una parte fondamentale dell’offerta:
Le ricerche sui compratori di sesso mostrano che molti sono consapevoli dei danni fisici e psicologici che subiscono le donne nella prostituzione (Farley et al., 2011). Questi uomini non credono che le donne entrino nel commercio sessuale perché amano il sesso. Alcuni non hanno alcuna obiezione se le donne che acquistano fingano di gradire l’atto o addirittura lo detestino.
Tuttavia, la finzione che la prostituita si diverta o sembri soddisfatta è una parte essenziale dell’interscambio (Pettinger, 2011). I compratori di sesso non pagano solo per un “servizio sessuale” o per sfogarsi sessualmente, ma per la fantasia di stare con una giovane sessualmente attraente che sembri desiderarli.
Alcuni compratori di sesso ammettono apertamente che la performance è un gioco, ma continuano a godere e pretendere di questa finzione:
“Mi piace sentirmi voluto (anche se è solo una fantasia).”
“Molte delle ragazze fingono di essere molto contente di vedermi, e questo rende quel momento più divertente.”
“Voglio fare sesso con qualcuno che almeno finga di gradirlo.”
“Quando un cliente paga per sesso, credo sia ragionevole aspettarsi che la donna si comporti in modo piuttosto entusiasta.”
Come sottolinea la scrittrice femminista Julie Bindel: “Nessuna donna ha come fantasia quella di subire i danni fisici causati da attività estreme come fare sesso con centinaia di uomini”.
“Mi sono detta che mi piaceva per riuscire a superare la giornata”
L’affermazione di Lily di divertirsi e sentirsi realizzata dall’essere usata da uomini per il loro piacere non è rara tra le donne nell’industria del porno. Tuttavia, una volta lontane dal settore, molte di queste donne riescono a vedere le cose in modo diverso, un po’ come accade alle vittime di abusi domestici.
Alcune riferiscono che, mentre erano nel settore, dovevano convincersi che fosse stata una loro scelta entrare nell’industria, e che fossero in controllo della situazione. All’epoca, dovevano per forza sostenere che l’industria le emancipasse, perché non avrebbero potuto continuare se avessero ammesso a loro stesse quanto stavano soffrendo (vedi i racconti delle sopravvissute alla prostituzione nel libro Prostitution Narratives: Stories of Survival in the Sex Trade).
Altre giustificano il fatto di essere rimaste nel settore dicendo che tanto erano già state rovinate, per cui continuare non faceva molta differenza.
Come spiega la scrittrice e sopravvissuta Rose Hunter:
“Quando ero nell’industria, non pensavo di essere una ‘escort felice’, anche se, come detto, spesso fingevamo di esserlo. Ma se mi aveste chiesto all’epoca come mi sentivo davvero, avrei detto che andava tutto bene. Molte persone che vengono abusate ogni giorno direbbero la stessa cosa o qualcosa di simile. È solo dopo anni che riesci a vedere quanto in realtà fosse grave la situazione. Quando ci sei dentro, sei in modalità sopravvivenza e ti dici ciò che hai bisogno di sentire per andare avanti…come può una donna che si trova nell’industria del sesso criticare l’industria- quando è ancora dipendente da questa per pagare il prossimo affitto?”
Abbiamo anche condiviso storie di donne su OnlyFans che avevano intenzione di postare soltanto foto in lingerie, non pornografia, ma nel tempo si sono ritrovate a dover condividere contenuti hardcore, violenti e degradanti per non perdere gli abbondati maschi.
Victoria Sinis, una ex procacciatrice di OnlyFans, ha scritto in un articolo pubblicato da noi a questo link che una volta che era riuscita a attirare con l’inganno una ragazza a iscriversi al portale le metteva pressione perchè violasse i suoi limiti fisici e si sottoponesse ad atti sempre più degradanti per attrarre più abbonati e competere in un mercato ormai saturo.
Per OnlyFans le modelle con un profilo forte, come quello di Lily, le pressioni affinchè facciano di tutto per mantenere il suo successo saranno ancora più forti. Le donne conosciute per la vendita di contenuti pornografici su OnlyFans si sono già rovinate qualsiasi prospettiva di carriera alternativa e si sentono costrette a continuare – questo significa sprofondare ancora di più e per questo arrivano a proclamare che amano quello che fanno, anche se invece sono la parte lesa.
Perché le donne ‘scelgono’ di entrare nell’industria del sesso
Lo sfruttamento sessuale commerciale delle donne, sia nella prostituzione che nella pornografia, è una forma di abuso. È distruttivo per le donne, che abbiano “scelto” o meno di entrarvi.
Ci sono diversi motivi per cui le donne potrebbero “scegliere” di entrare nell’industria pornografica. Sappiamo che un numero significativo di donne sono vulnerabili, e che alcune lo “scelgono” a fronte di alternative davvero limitate. Altre vengono plagiate dalla cultura porno che insegna, alle donne e alle ragazze, che devono partecipare alla loro stessa oggettificazione perchè rappresenta una forma di emancipazione, è una carriera glamour e redditizia (per i dati rimandiamo al nostro report pubblicato insieme alla Coalition Against Trafficking in Women Australia Side Hustles and Sexual Exploitation – che documenta come i media australiani promouvono attivamente la prostituzione come una carriera appetibile per le giovani donne)
Molte donne non scelgono veramente di fare pornografia in modo consapevole, ma si trovano a farlo per disperazione economica, o lo fanno senza sapere cosa le aspetta e i danni che ne deriveranno.
Ma forse, cosa ancora più importante, tutta la discussione sulle “scelte” delle donne nasconde la realtà delle scelte degli uomini – coloro che partecipano, traggono profitto e consumano l’abuso e la distruzione delle donne per il loro piacere o guadagno.
Parliamo delle scelte degli uomini
Ciò che manca spesso nella discussione è il ruolo degli uomini che hanno fatto la fila per eiaculare dentro e sopra il corpo di Lily. Uno di loro ha speso 800 sterline per volare dalla Svizzera per pochi minuti di sesso.
Come ha scritto l’attivista contro la violenza domestica David Challen:
“Il vero problema non è Lily Phillips, la donna al centro di tutto questo. È la cultura degli uomini che partecipano, consumano e traggono profitto da tutto ciò.”
Molti si sono chiesti perché una donna arriva a fare una cosa del genere mentre non si assumono la responsabilità per la cultura che hanno contribuito a creare. E adesso molti speculano sulla salute mentale di Lily, ma si rifiutano ancora di guardare a piattaforme come OnlyFans che sono responsabili nel creare questa cultura e trarre profitto dai suoi “creatori”.
Come gli uomini del caso Pelicot, questi uomini non sono mostri senza volto, sono uomini ‘normali’ di tutti gli ambiti sociali che giustificano le loro azioni, sfuggono alle loro responsabilità e si affidano a narrazioni sociali che troppo spesso spostano l’attenzione sulle donne coinvolte.
Cosa spinge così tanti uomini a partecipare, senza esitazione, a comportamenti dannosi? E perché la nostra indignazione è così raramente rivolta a loro?
Quando ci concentriamo solo sulle “scelte” delle donne che partecipano a pratiche distruttive, incluso quelle che rischiano di renderle disabili a vita, lo facciamo a costo di deresponsabilizzare gli uomini per gli abusi commessi. Gli uomini che hanno abusato il corpo di Lily hanno messo il loro piacere sessuale davanti alla vita di una donna.
Se difendiamo questi abusi dicendo che sono stati la scelta di Lily, lasciamo che la violenza maschile e l’abuso delle donne restino impuniti. Noi non lo accettiamo.